Il Papa ai giovani in occasione della GMG 2021: «Guardate al futuro con coraggio!»

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È la domenica che conclude l’anno liturgico e la nostra riflessione si concentra sulla figura di Gesù come re dell’universo. Il quarto Vangelo ci offre una descrizione di una delle scene del processo romano nella narrazione di Giovanni: il primo colloquio tra Pilato e Gesù. Il racconto inizia con le parole: “rientrò nel pretorio e fece chiamare Gesù”. Cosa stava accadendo? Pilato entra e esce dalla scena, nel racconto giovanneo, per parlare con Gesù e per ascoltare, fuori, ciò che i giudei hanno da dirgli. C’è come una separazione netta tra Gesù e il popolo che lo ha seguito, lo ha accolto, acclamato, e ora lo condanna. Pilato, dunque, torna dentro il pretorio e pone subito la domanda chiave della narrazione: sei tu il re dei giudei? Sembra quasi incredulo, come a dire: ma vi sembra questo un re.
Ecco la diversità che appare subito, perché Gesù è un re certamente singolare: possiede sì un regno ma è molto diverso dai regni di questo mondo; non ha il potere mondano, non cerca la gloria terrena, l’applauso della gente. Esercita la sua regalità in modo diverso; è trattato come uno schiavo, è torturato, flagellato. Nella sua nudità ha una corona fatta di spine e il suo trono è la croce. Ma è proprio in quella debolezza, fragilità, e nell’obbedienza al Padre che si manifesta la sua forza. “Egli non viene per dominare, ma per servire”, dice Papa Francesco all’Angelus. “Non arriva con i segni del potere, ma con il potere dei segni. Non è rivestito di insegne preziose, ma sta spoglio sulla croce. Ed è proprio nell’iscrizione posta sulla croce che Gesù viene definito ‘re’. La sua regalità è davvero al di là dei parametri umani! Potremmo dire che non è re come gli altri, ma è re per gli altri”. Quando la folla lo acclamava re si nascondeva, ora “dice di essere re nel momento in cui la folla è contro di lui” afferma ancora il Vescovo di Roma. “Gesù si dimostra, cioè, sovranamente libero dal desiderio della fama e della gloria terrena”.
Così Francesco domanda: “sappiamo imitarlo in questo? Sappiamo governare la nostra tendenza a essere continuamente cercati e approvati, oppure facciamo tutto per essere stimati da parte degli altri? In quello che facciamo, in particolare nel nostro impegno cristiano, mi domando: cosa conta? Contano gli applausi o conta il servizio”.
Una libertà, quella di Gesù, che viene dalla verità, ci dice il Papa; “è lui stesso che fa la verità dentro di noi, ci libera dalle finzioni, dalle falsità che abbiamo dentro, dal doppio linguaggio. Stando con Gesù, diventiamo veri. La vita del cristiano non è una recita dove si può indossare la maschera che più conviene”. È un re che libera il cuore “dall’ipocrisia, lo libera dai sotterfugi, dalle doppiezze. La miglior prova che Cristo è il nostro re è il distacco da ciò che inquina la vita, rendendola ambigua, opaca, triste”. Con Gesù “non si diventa corrotti, non si diventa falsi, inclini a coprire la verità. Non si fa doppia vita”.
Domenica, inizio del cammino verso la Giornata della gioventù del 2023 a Lisbona. Nell’omelia in San Pietro, si sofferma sulle letture, Daniele e l’Apocalisse, e sulle parole “viene con le nubi”, per dire che “il Signore che viene dall’alto e non tramonta mai, è colui che resiste a ciò che passa, è la nostra eterna incrollabile fiducia. È il Signore.

Fabio Zavattaro